La Dittatura, l'Esilio, la Guerra

Dal 1959, un milione e mezzo di Tutsi si trovavano in esilio. All'estero non hanno perso tempo, hanno studiato, si sono laureati: medici, chirurghi, specialisti di ogni genere, anche di guerra. Hanno lavorato e con il loro guadagno hanno comperato armi. Le armi sono armi. Io le odio, ma qui inizio a percepire una qualità diversa. Ci sono armi “pulite” comperate col proprio lavoro, per liberare dall'oppressore. Altre sono “sporche”, vengono da traffici di droga, servono per opprimere, per sterminare, per compiere genocidi.

Paul ci dà un messaggio per il Santo Padre: - Dite al papa che abbiamo bisogno di protezione e preghiere. Dite pure che la gerarchia ecclesiastica ruandese - “a été très mauvaise avec nous” -, ha sostenuto la dittatura, è responsabile di questo orribile genocidio.
Ci dice che non vogliono i soldati italiani, che non vogliono i caschi blu dell'ONU. - È troppo tardi! Abbiamo bisogno di cibo, medicine, vestiti per i nostri bambini, il nostro prezioso patrimonio del futuro -. Mariapia si sfila dal collo il rosario che il pontefice le aveva regalato e lo consegna a Kagame. Lui è commosso, grato. Anche lui è cattolico e lo sono anche i suoi nemici.
Ci viene offerto del tè con zucchero e latte.
Ripartiamo, facciamo per un pezzo di strada parte del convoglio militare, il generale in testa, che va alla battaglia.
Davanti a noi i cannoni, i fucili, le mitragliatrici e i ragazzi Tutsi e Hutu, giovani armati e vestiti di tutto ciò che hanno. Non sanno se torneranno qui, se finiranno da un'altra parte, se domani all'alba saranno ancora vivi. Sono sereni, nei loro occhi la certezza di essere nel giusto: nel loro paese da troppo tempo regna l'ingiustizia, lo sterminio, il terrore del machete. Da troppo tempo sono senza genitori. Da troppi anni sulle montagne sono stati tagliati alberi secolari. La scusante? i Tutsi non dovevano nascondersi nelle foreste, in quelle stesse foreste dove era stato girato il film “Gorilla nella nebbia”. Per un pezzo di strada siamo con loro, poi ci dividiamo. Noi da una parte verso Nyamata, loro dall'altra verso…

Di Nyamata ho già detto. Diventa buio, il cielo affascina. Lo sento nel sangue, nelle ossa, nel midollo, nel cuore. Una fermata per dissetare i nostri piccolini. I due pullmini sembrano camere a gas. I bambini sono piccoli, malati, sporchi, incrostati di tutto. Raggiungiamo Rwamagana. Ci fermano tutti. Maria Pia ed io vorremmo continuare fino a Byumba, lasciarci in fretta quell'inferno alle spalle, portare in salvo i nostri bambini. Ma non c'è concesso, troppo pericoloso. Dovremmo passare da Kigali di notte da dove vediamo i lampi di bazooka. Dall'ospedale dobbiamo ritirare altri feriti, un furgoncino deve tornare a Kibungo, anche là ce ne sono che aspettano.
Marco si è infortunato e si è fermato a Mulindi. Farà la spola tra Ruanda e Uganda. A
Kabale, dove c'è il telefono, deve organizzare il viaggio di ritorno. Con i soldi raccolti in Ticino acquisterà giornalmente viveri, materassi e lenzuola per l'ospedale di Byumba, latte in polvere per gli orfanotrofi.
Abbiamo con noi ormai 64 tra bambini e feriti, e non siamo ancora sicure se gli Hercules ci verranno a riprendere. Non vogliamo pensarci. Ora siamo qui, a Rwamagana e dobbiamo occuparci di loro. Qui Marco ci ha fatto arrivare un terzo pullmino, c'è pure un Suzuki bianco con una troupe televisiva ugandese: due persone e un autista. Anche loro hanno fame, hanno problemi e dobbiamo occuparcene.
Per fortuna che nella nostra condizione di esseri umani non dobbiamo pensare a respirare. Non ne avremmo il tempo. Ma l’aria ci richiama a noi stessi, e qui in questo Rwanda lacerato, è pulita, limpida. Qui il veleno è l'odio, quell'odio che vuole impedire a dei bambini di diventare uomini.

Mattino prestissimo: dobbiamo separarci dal bebè di Nyamata e della sua sorellina. Li ricoveriamo all'ospedale locale, sperando che dispongano di sacchetti di flebo. A Nyamata, prima di caricarcelo sul pullmino, glielo avevano staccato dal braccino, era l'ultimo sacchetto in loro possesso, era quasi vuoto. Mi hanno detto che nei territori ancora sotto il controllo dei governativi, territori non ancora liberati, le mamme non portano più i bebè sulla schiena, ma sul petto, sperando che durante l'eccidio il loro corpo li possa proteggere. Anche per questo



alcuni si salvano, anche per questo sono ancora più preziosi. Ho visto una bambina: l'hanno trovata due giorni prima. Ancora succhiava al seno della mamma morta.

E via verso Kigali. La strada è ora asfaltata. Kigali: tutti ne parlano perché era capitale, un punto strategico importante. Ci abita ancora l'arcivescovo. Ma è una passeggiata per bambini dell'asilo, rispetto a quello che abbiamo vissuto e alle condizioni di ciò che abbiamo lasciato. Radio 1000 collines la ascoltiamo in macchina. Fornisce informazioni non veritiere, afferma che i soldati del FPR siano rimasti in pochi, che tolgono patate crude dalle tasche e che le mangino così, nemmeno cucinate. Incita la gente alla violenza, consiglia l'uso di droga per diventare più forti, più sanguinari, consiglia di arruolarsi nelle milizie coi soldati governativi, armandosi con tutto ciò che si trova a portata di mano: machete, coltelli, martelli. Ringrazia per lo sterminio, per le uccisioni. Promette ricompense, appoggi a guerra finita. Questa radio è stata dichiarata fuorilegge persino dall'ONU, ma troppo tardi.

Anche questa parte di Kigali che attraversiamo è vuota, deserta, non c'è più nessuno. Niente, niente, niente, tutto distrutto. Come tutto il territorio liberato che abbiamo attraversato. Solo gli orfanotrofi sono traboccanti di bambini, orfani a centinaia, migliaia. Stanno tentando di fare un censimento. Ma negli orfanotrofi ne arrivano ogni giorno a dozzine. Arrivano anche da soli, ma perlopiù sono i ragazzi dell’FPR che li trovano e con dolcezza e delicatezza li consegnano, sperando per il loro futuro.
Attraversiamo Kigali, sentiamo gli scoppi, gli spari.
Forse è proprio oggi che il sottosegretario del ministro degli esteri italiano Rocchetta (lo sapremo in seguito) ha voluto atterrare con un aereo dell'ONU. Non è riuscito a mettere piede sul suolo ruandese: i governativi gli hanno sparato. Ha dovuto ripartire col suo carico di viveri e medicine. Orion e Angelica i nostri due angeli protettori, sono efficientissimi.